Incisioni Rupestri - Ricerca archeologica nelle Alpi biellesi

Alta Vallecervo

(A. Vaudagna - DocBi Centro Studi Biellesi - S.Va.P.A.)

 

Questa relazione riguardante l’alta Vallecervo conclude la fase di prospezione e censimento preliminare del progetto Alte Valli che ha interessato l’arco alpino biellese dalla valle del Torrente Viona all’alta Valsessera.

La morfologia del territorio in esame presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente dalle valli dei torrenti Elvo e Oropa oggetto di  precedente indagine: questi presentano un percorso montano breve che incide versanti a pendenza moderata, ricchi di pascoli e con facile accesso dalla pianura, mentre il Cervo si insinua profondamente nell’edificio alpino con una lunga fenditura, scavata in plutoni di rocce cristalline, che prima della costruzione della strada moderna doveva essere di non agevole percorrenza. Il paesaggio si apre all’altezza dell’abitato di Rosazza, al raggiungimento della zona dei micascisti, in un ventaglio di valloni, confluenti nel corso principale del Cervo, le cui testate mostrano evidenti i segni di bacini glaciali pleistocenici con magri pascoli, alternati a pietraie che rivestono i ripidi versanti (fig. 1,2). A differenza delle valli occidentali, l’alta Vallecervo fu quindi, a causa della tormentata morfologia, più facilmente accessibile attraverso i colli che la mettevano in comunicazione con la valle del Lys e con la Valsesia piuttosto che dalla pianura biellese, almeno sino ad epoca medioevale.

 

       

fig. 1                                                                              fig. 2

 

Malgrado le difficoltà di frequentazione e la scarsa appetibilità dei pascoli l’alta Valle è permeata da echi di un substrato culturale protostorico. Le masche del Pian d’Irogna e la Vecchia dell’omonimo lago riportano alla tradizione celtica delle Matres; l’uomo selvatico, che conosceva il modo di lavorare il latte, ricorda il periodo forse ancora più antico della prima colonizzazione delle montagne; infine il culto di S. Giovanni nel vallone del rio Bele (Beleno?) sembra sostituire un precedente culto solare quasi in contrapposizione con il culto della Madre (poi Vergine Nera) del contiguo santuario di Oropa.

Una sporadica presenza in epoca romana è testimoniata da una moneta proveniente dal lago della Vecchia, ma fu a partire dalla metà del XIII secolo che si verificò un popolamento rapido delle testate delle valli, con l’arrivo di coloni Walser provenienti dal cantone svizzero del Vallese inviati a proteggere dai predoni  l’alta valle di Ayas e quella di Gressoney a monte di Issime, feudi degli abati di Sion. Da Issime debordarono velocemente attraverso i colli delle due Mologne e il colle della Vecchia, in Vallecervo.  La presenza di pastori Walser è confermata dagli atti relativi ad una lite iniziata nel 1468 per lo sfruttamento degli alti pascoli dei quali i Vallesani affermano di usufruirne da lungo tempo.

Le incisioni rupestri non figurative (prevalentemente coppelle e vaschette), che costituiscono  la grande maggioranza delle evidenze individuate durante la prospezione del territorio, differiscono frequentemente in modo significativo da quelle presenti nelle altre due aree di concentrazione del Biellese: Bessa e valli Elvo-Oropa.

Nei valloni del Cervo e dei suoi affluenti le incisioni sono sempre nelle immediate vicinanze o all’interno di insediamenti attualmente in uso o abbandonati da pochi decenni mentre, nelle altre valli Biellesi questa caratteristica costituisce un’eccezione. Inoltre la quantità di segni della Vallecervo è, malgrado le superfici siano comparabili, di circa 10 volte superiore (40/400 circa) ma questa anomalia può in parte essere giustificata dalla presenza nella zona Elvo-Oropa di numerosi incavi di origine naturale. E’ però nella morfologia dei manufatti che le differenze appaiono maggiormente evidenti. Se nelle valli occidentali le coppelle sono prive di collegamenti mediante canaletti e nella Bessa questi sono corti, larghi e rettilinei in Vallecervo prevalgono andamenti sinuosi ed irregolari, con lunghezze a volte dell’ordine di decine di centimetri e sezioni inferiori al centimetro. In molti casi questi canaletti sembrano avere una “vita propria”: isolati o in espansioni di reticoli su superfici piane con solo sporadici incavi lungo il percorso. Anormalmente elevata è poi la quantità di profonde vaschette quadrate o rettangolari anche collegate, assenti invece nella Bessa e rarissime in Elvo-Oropa.

Si segnalano anche le numerose incisioni cruciformi (assenti nella Bessa), in elevate concentrazioni sulla stessa superficie, alcuni pediformi e una impronta di mano con le dita aperte (come in un masso del Brich Paglie nella zona Elvo-Oropa). Microcoppelle (orbicoli), date generalmente di fine ‘800 e sigle punteggiano le superfici di numerosi massi sia isolati che in associazione con altre tipologie.

Infine se, soprattutto nella Bessa, l’accuratezza di incisione è caratteristica comune a quasi tutti i manufatti, in Vallecervo questi sono di qualità molto variabile a volte eseguiti anche in modo maldestro. Gli strumenti impiegati furono prevalentemente di ferro con alcune eccezioni, rappresentate da coppelle a sezione molto aperta, per eseguire le quali sembra essere stato utilizzata la percussione diretta con un ciottolo.

Tutto questo pone un serio problema di attribuzione cronologica ai nostri reperti dato che i labili indizi a disposizione indirizzano verso interpretazioni divergenti, contraddittorie ed anche una cronologia relativa tra incisioni sulla stessa superficie in base alle patine è priva di credibilità dato che sigle e date della seconda metà dell’800 hanno colorazioni indistinguibili da quelle della roccia madre.

Se si tenesse conto delle  aree di concentrazione (quasi tutti gli alpeggi attuali, ma in maggioranza già esistenti prima del xv sec. e occupati da popolazioni Walser), l’estrema rarità di morfologie e tipologie comparabili nelle altre valli biellesi (per raggiungere le quali si devono attraversare colli situati a valle del comune di Issime, limite inferiore degli insediamenti Walser nella valle del Lys), l’elevato numero di incisioni che presupporrebbe un altamente improbabile denso insediamento protostorico, incompatibile con la cattiva qualità dei pascoli, si dovrebbe concludere che le incisioni rupestri dell’alta Vallecervo siano opera dei pastori provenienti dalla Vallesa in epoca medioevale. Questa ipotesi potrebbe essere rafforzata dalla constatazione che le rocce incise sono presenti oltre i 1100 metri di quota e non scendono quindi fino agli insediamenti di fondovalle, a ulteriore indicazione di una provenienza degli incisori attraverso i colli.

Tuttavia i modelli che più frequentemente ispirarono gli autori (coppelle e vaschette con o senza canaletti) sono tipici della seconda età del Ferro ed è inverosimile che siano riapparsi dopo un millennio, portati da genti ormai da tempo cristianizzate e soprattutto inviate dai vescovi di Sion. Inoltre non si può non tener conto del substrato culturale precedente l’arrivo del cristianesimo: leggende che affondano le radici nella cultura celtica e tracce di culto solare.  Si può quindi ragionevolmente ipotizzare che in alta Vallecervo vi sia stata una prima frequentazione di pastori durante la seconda età del Ferro, proveniente dai colli della Vallesa, che avrebbero lasciato segni coerenti con la cultura dell’epoca. Nei periodi successivi le incisioni sarebbero continuate per attardamento culturale, superstizioni legate alle pietre segnate e fenomeni imitativi (testimoniati forse dai numerosi manufatti di mediocre esecuzione), fino ad espandersi a pioggia in quasi tutti gli alpeggi con numerosi possibili reimpieghi su gradini, soglie di accesso alla baite e muri a secco. In questa diffusione secondaria è probabile che i Walser abbiano avuto parte attiva dato che le tracce tendono a rarefarsi nei valloni orientali e quindi più lontani dai valichi verso il Lys.

Forme e disposizioni rientrano in senso lato nelle classificazioni della Scheda Internazionale d’Arte Rupestre, ma in Vallecervo si possono osservare varianti e combinazioni assenti nelle altre due aree di concentrazione biellesi.  Si viene così delineando un quadro complessivo che senza soluzione di continuità territoriale (dalla Bessa alla Vallecervo) comprende gran parte delle tipologie e morfologie conosciute nell’ambito delle incisioni di tipo coppelliforme e questo sembra sottintendere anche una estensione temporale che potrebbe andare dall’inizio dell’età dei Metalli (alcuni “massi altare” della Bessa) fino ai virtuosismi, probabilmente medioevali, dei reticoli di canaletti. Ai Walser vanno infine attribuiti i numerosi cruciformi e i balestriformi posti a protezione degli alpeggi e delle principali vie di comunicazione con i loro territori di origine (colli delle due Mologne).

Alcune tra le più significative superfici incise, suddivise per quanto possibile per tipologie, vengono qui di seguito descritte.

Il gruppo “vaschette con o senza canaletti” comprende alcuni esemplari di particolare interesse, anche estetico. Quello dell’alpe Ambrusc (fig. 3), in una ripida conca sospesa sul vallone del Cervo a 1700 metri di quota, comprende due vaschette simmetricamente disposte, dotate di canaletti che portano al bordo esterno del lastrone di supporto, che appare in posizione secondaria.  Lo spazio interno tra i due elementi quadrati è occupato da una serie di 8 coppelle. Al disotto fuoriusciva una sorgente, ora spostata alcuni metri più a valle. Altre incisioni a vaschetta rettangolare sono presenti su blocchi di frana a superficie pianeggiante sparsi all’interno dello stesso gruppo di casolari (fig. 4).

 

   

 fig. 3                                                                             fig. 4

 

Nel vallone che sale al colle della Gragliasca, all’interno dei casolari contigui di Desate e Borioni a 1100 metri di altitudine, due massi tondeggianti portano reticoli di canaletti interrotti da coppelle e vaschette (fig. 5,6) che, soprattutto nell’esemplare di Borioni, avvolgono la superficie come circonvoluzioni cerebrali. Ancora a Borioni un masso, posto al bordo di un sentiero, ha una grande vaschetta nella quale confluiscono due canaletti e dalla quale ne fuoriesce un terzo in direzione del bordo esterno (fig. 7); mentre a Desate una vaschetta e una coppella collegate da canaletti sono incisi su un blocco squadrato e frammentato, in evidente reimpiego, su di un muretto di delimitazione della mulattiera che attraversa l’abitato (fig. 8).

 

       

fig. 5                                                                             fig. 6

 

            

fig. 7                                                                    fig. 8

 

Tra le composizioni a prevalenza di canaletti due sono di particolare interesse. La prima è su un masso gradinato affiorante nell’insediamento di Rosei a 1200 metri di quota, nel vallone del Cervo, lungo la mulattiera che sale al colle della Vecchia. La superficie superiore, a forte irregolarità, è incisa da un canaletto con coppelle e orbicoli sparsi lungo il percorso e nelle immediate vicinanze, mentre quella inferiore, più regolare, presenta una struttura ad albero composta da molteplici serpeggianti incisioni convergenti verso il basso in un unico elemento che raggiunge il labbro inferiore della roccia. Aperture a coppella e a vaschetta piatta interrompono la continuità dei segni. Orbicoli, date (1882), sigle e un nome (Elda) completano il quadro (fig. 9,10).

 

            

fig. 9                                                                 fig. 10

 

La seconda composizione si trova all’alpe Fontana a 1150 metri, dominante la confluenza dei rii Valdescola e Chiobbia. Qui, un masso a superficie piana e leggermente inclinata verso valle, che affiora per pochi centimetri dal terreno, porta una serie di canaletti che si avvolgono in forme chiuse, alcune interconnesse mediante tratti di percorso comune. Tutti questi segni lineari alla fine si reinnestano in un canaletto centrale che, come a Rosei, defluisce dal bordo inferiore della roccia. Ancora come a Rosei, coppelle e vaschette interrompono i percorsi (fig. 11). Altri massi “a canaletti” sono sparsi in numerosi insediamenti, tra questi si deve ricordare la profonda linea zizzagante su un piriforme dell’alpe Buron (vallone della Mologna) che sostiene un rozzo muro a secco. Il masso data la colorazione ocracea doveva essere in parte sepolto fino ad epoca recente (fig. 12).

 

             

          fig. 11                                                                              fig. 12

 

Un nuovo sito di recente individuazione che ha spostato verso Est il limite delle incisioni rupestri sulle Alpi Biellesi è situato all’alpe Marletto a 1530 m. di altitudine, sulle pendici della Pera Furà. Due massi (fig. 13,14) contigui ai casolari portano segni inusuali: una figura arboriforme con steli e foglie il primo ed un profondo scaliforme, che sale alla superficie pianeggiante del secondo, sulla quale è incisa a rilievo una figura a “8”. Quest’ultimo, è parzialmente fratturato e in reimpiego su un rozzo muro di delimitazione.

 

    

fig. 13                                                                          fig. 14

 

Massi coppellati, dotati o privi di canaletti di collegamento, sono presenti in tutti i valloni, spesso in probabile reimpiego in soglie, gradini e muri a secco. Gruppi di coppelle sono su un gradino di accesso ad una baita a Pian d’la Vey nel vallone della Mologna (fig. 15) e su due grossi blocchi appena sbozzati  posti sul colmo di un muro di delimitazione alle baite  La Pianazza  nel vallone della Chiobbia (fig. 16,17). Con uguale collocazione un lungo canaletto percorre il bordo di un piccolo masso prendendo origine da una coppella, a Rosei nel vallone del Cervo (fig. 18). Infine una coppia collegata da un canaletto ricurvo (quasi un Pince Nez) occupa un gradino sul sentiero di accesso ad una baita all’alpeggio La Bianca nell’alta valle della Mologna (fig. 19) e massi con più incavi collegati sono visibili alle baite di Anval ancora alla Mologna (fig. 20). Per questo tipo di incisione si deve notare che esistono morfologie di transizione con vaschette dagli spigoli fortemente arrotondati.

 

     

     fig. 15                                                                fig. 16

 

      

fig. 17                                                                          fig. 18

 

 

      

fig. 19                                                                              fig. 20

 

A Pian d’la Vey,  “Piano della Vecchia” (nome che evoca un passato permeato di cultura pre-cristiana) vi è la roccia incisa di maggior interesse di tutta l’alta Vallecervo. Su un lastrone dalla superficie leggermente convessa usurata da innumerevoli passaggi, dato che costituiva il fondo della mulattiera che attraversava l’insediamento, sono in parte ancora evidenti le tracce di un complesso proteiforme di incisioni nel quale meandri di canaletti isolati o colleganti coppelle e vaschette appaiono e scompaiono a seconda dell’inclinazione dei raggi solari. Tre impronte di piede di diversa morfologia ed una labile impronta di mano costituiscono i punti focali di maggior rilievo,essendo unici in tutta l’area indagata (fig. 21,22).

L’apparente caoticità fa pensare che vi siano state più fasi di incisione le ultime risalenti alla fine dell’800 (data 1889), ma le più antiche devono appartenere al tempo in cui la “Vecchia” abitava il pianoro e la Roccia non costituiva certo un piano di calpestio.

 

              

fig. 21                                                                 fig. 22

 

Rimanendo nello stesso ambiente culturale si deve segnalare un “luogo” che pur privo di incisioni appare altamente significativo: S.Giovannino. Qui, nella parte inferiore del vallone della Gragliasca, fu costruita su un basamento di massi erratici una piccola cappella nella quale appare dipinto il santo “Precursore”  in atteggiamento da imberbe “amorino”, a pochi metri una sorgente sgorga dalla roccia e un mestolo, con catena infissa, permette ai visitatori di dissetarsi (o di perpetuare un rito di fertilità ora cristianizzato). In alto un gigantesco, monolite si stacca dalla parete precipite a dominare la valle (fig. 23).

Di ispirazione certamente non paganeggiante è la bella roccia incisa situata alla biforcazione dei sentieri delle due Mologne, nel vallone dell’omonimo torrente. Croci e balestriformi ne tappezzano la faccia a superficie regolare e fortemente inclinata, testimoni del tempo in cui i pastori transumanti provenienti dalla Vallesa si assicuravano una protezione dall’Alto sulla via del ritorno a casa (fig. 24).

 

           

fig. 23                                                               fig. 24

 

Tutti questi segni di uomini di altri tempi testimoniano una frequentazione via via più intensa dell’alta Vallecervo. Tuttavia, come già precedentemente esposto, il numero di incisioni e soprattutto il numero di siti in cui compaiono sembra escludere la possibilità che queste appartengano totalmente alla protostoria o meglio al periodo anteriore all’arrivo del cristianesimo, malgrado siano tipologicamente correlabili a modelli della seconda età del Ferro. Ulteriori analisi stilistiche e morfologiche associate a confronti con altri siti nei quali sono segnalate incisioni comparabili (Monte Cavallaria, in Canavese e valle del Lys), potrebbero fare un po’ di luce su un fenomeno che appare comunque strettamente associato al mondo pastorale di montagna.

Con l’eccezione di un piccolo recinto nel vallone della Gragliasca e di alcuni resti di muri a secco interconnessi, contigui alle baite di Cunetta (vallone del Cervo) e Valdescola, scarseggiano nel territorio in esame le estese tracce di insediamenti medioevali che caratterizzano le valli Elvo e Oropa.  Queste sono probabilmente sostituite dalle rilevanti architetture  parzialmente o totalmente troglodite delle alpi  Ambrusc,  Cunetta,  Anval  e La Bianca nelle quali ripari ed anfratti tra massi di grandi paleofrane furono sistemati ad abitazioni, ricoveri per animali e depositi mediante chiusure in muratura a secco (fig. 25). Identico modo di sfruttamento dei ripari sotto roccia è presente nel vallone di S. Grato in comune di Issime.

 

fig. 25

 

Mancano infine in Vallecervo gli impilamenti prismatici e cilindrici di sassi (mongioie) comuni invece nei pascoli dei valloni occidentali a conferma della tesi che popolazioni di tradizioni culturali diverse colonizzarono le valli alpine biellesi.

 

 

Carta di distribuzione delle incisioni in alta Vallecervo

 

INDICE